La guerra commerciale contro la Scienza

Il pezzo di Affari & Finanza Olio di palma, miliardi nel piatto. La resa dei conti tra le lobby del cibo affronta finalmente un aspetto fondamentale della crociata contro l’olio di palma: gli interessi commerciali.

PERCHÈ È IMPORTANTE – L’olio di palma non fa male né è la causa principale della deforestazione del mondo. È semplicemente vittima di una guerra commerciale che ha precisi mandanti e interessi.  

PECCATO – L’articolo purtroppo si ferma alle apparenza e non indaga oltre, forse per non scontentare nessuno. Ha sicuramente il merito di sollevare la questione, ma ha il limite di non affrontarla con il metodo sperimentale. 

Un aiutino al giornalista lo vorremmo dare noi. Perché il M5S ha attaccato costantemente l’OdP? Perché non sono stati intervistati i deputati che più hanno spinto questa battaglia (Mirko Busto del Movimento 5 Stelle, per esempio) e non sono poste domande sui legami tra Russia, Francia, Ucraina (primo produttore di olio di girasole al mondo) con chi ha creato questa campagna dal nulla? Forse sarebbe meglio chiedere al Fatto Alimentare che grazie alla crociata anti-palma camperà di rendita per anni.

Da come è stato posto l’articolo, la guerra al palma sembra semplicemente una questione di campanile tra “fratelli” di scaffale per conquistare qualche quota di consumatori in più in un mercato ormai stagnante e saturo da troppo tempo. Quando però si esce dal cortile di casa, ci si accorge subito che le dinamiche sono molto più grandi e articolate. Solo il fatto che i paesi produttori siano Malesia e Indonesia dovrebbe far pensare a qualcosa di globale.

OMISSIONI – Repubblica purtroppo omette che COOP e Barilla, come tanti loro colleghi, lasciano l’OdP dopo averlo difeso pubblicamente per anni, con frasi ormai celebri se non fosse che oggi ci obbligano ad interrogarci sulla coerenza di chi le ha pronunciate. A raccontarlo non ci crederebbe nessuno, ma siamo in Italia, e tutto è possibile, con giornali così.

Leggi il nostro studio: “Senza olio di palma, ma più saturi“.

BARILLA E COOP COME IL RE SOLE – È bastata l’opinione dell’EFSA (che verrà rivista probabilmente già l’anno prossimo) perché i due salvatori del mondo passassero dall’altra parte della barricata. Per carità, per vendere si fa di tutto, ma non possono pretendere di prendere in giro ancora i consumatori, facendoli passare per fessi. Quando la scienza ha dimostrando che l’OdP non ha alcun impatto negativo sulla salute se consumato in una dieta bilanciata ed è più sostenibile di tutte le piantagioni alternative, si sono arrogati il titolo di protettori della nostra sicurezza, invocando il principio di precauzione

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Nemmeno l’ESFA, il cui parere è stato reinterpretato in tutti i modi possibili spesso travisando e mistificando le conclusioni, ha decretato che l’OdP è pericoloso per la salute. Barilla insiste: “il nostro non è un atteggiamento pregiudiziale, è un comportamento coerente con il principio di precauzione” che è un po’ come dire “so che non fa male, ma ho paura che mi danneggi l’immagine”.  

Il vero giornalismo d’inchiesta allora avrebbe fatto alcune domande: quali sono le prove che incriminano l’OdP? Il principio di precauzione è prerogativa di un privato o del Ministero della Salute? Come mai prima non faceva male e ora avete qualche dubbio? Cosa è cambiato? Perlomeno per cercare di capire meglio la situazione.

Un’analisi economica invece farebbe i conti in tasca agli obiettori del palma. Le aziende che lo hanno abbandonato hanno parlato senza problemi di quale sacrificio economico hanno sostenuto per eliminare l’OdP, ma quanto potrebbe costare adeguarsi ai prossimi nuovi parametri EFSA che probabilmente saranno unici per tutti gli oli vegetali? Quanto hanno guadagnato in quote di mercato e ricavi togliendo l’OdP? 

Per un prossimo pezzo suggeriamo a Repubblica di:

  • Porre qualche domanda a chi dice che “la bufala sul glifosato è come quella sull’olio di palma” ma vende biscotti “senza olio di palma” per non essere da meno;
  • Chiedere ai consumatori se sono informati correttamente sul tema e dove hanno reperito le informazioni;
  • Parlare delle conclusioni cui è giunta la scienza;
  • Menzionare lo studio comparativo (che abbiamo pubblicato su CL ed è stato utilizzato anche da Autorità e Istituzioni nazionali);
  • Chiedere al Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE) se queste etichette non siano ingannevoli per il consumatore e approfondire le ricerche in merito. Così almeno avrebbero scoperto che in alcuni paesi le etichette “senza olio di palma” sono vietate in quanto discriminatorie e ingannevoli.

Poteva essere l’occasione per raccontare ai consumatori cosa succede davvero: che tolto il palma, i saturi sono spesso sempre quelli e che quello che conta è la nostra dieta giornaliera complessiva. Che i grassi saturi sono anche nella carne, nei formaggi, nel burro e in tanti altri prodotti. Che le etichette spesso ingannano per assecondare le strategie commerciali.

Questa opportunità è andata persa, forse, per eccesso di politically correctSiamo ancora in tempo per rimediare. Basta volerlo!

Campagne Liberali è un'associazione di cittadini che difende la libertà di scelta e promuove il metodo scientifico.

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