RAI3 è il canale anti scienza: l’olio di palma fa male all’ambiente?

Ormai sembra che alla RAI sia quasi impossibile fare della corretta informazione scientifica. Dopo le puntate di GEO, Rai3, dello scorso novembre, il programma “Indovina chi viene a cena” ha proposto l’ennesimo servizio contro l’olio di palma, con affermazioni denigratorie, prive di riscontri scientifici e zeppe di ideologia ambientalista. Campagne Liberali, attraverso l’analisi puntuale e scientifica dei dati, propone un fact checking di questo servizio andato in onda l’11 dicembre 2017: guarda il video.

Forse è tempo di farci l’abitudine, ma ormai sembra che alla RAI sia quasi impossibile fare della corretta informazione scientifica a vantaggio di tutti i cittadini che ne pagano il canone. Infatti, dopo le puntate di GEO, Rai3, dello scorso novembre, il programma “Indovina chi viene a cena” ha proposto l’ennesimo servizio contro l’olio di palma.  Ancora una volta, un programma della tv pubblica torna ad attaccare l’olio di palma, con affermazioni denigratorie, prive di riscontri scientifici e zeppe di ideologia ambientalista.

Campagne Liberali, attraverso l’analisi puntuale e scientifica dei dati, propone un fact checking, del servizio contro l’olio di palma andato in onda l’11 dicembre 2017 all’interno del programma “Indovina chi viene a cena”, per smantellare una ad una le bufale propinate ai cittadini e ai consumatori.

I – Gli Orangutan
Gli orangutan presenti nel parco Tanjung (Borneo Indonesiano), rischierebbero davvero la vita ogni giorno a causa degli incendi delle foreste che lasciano il posto alle piantagioni di palme?

FACT CHECKING: Il servizio propone dati e immagini che si riferiscono al 2015, tratte dalla trasmissione Report. In realtà nel frattempo la situazione è decisamente migliorata. I dati forniti dal Global Forest Watch evidenziano infatti che gli incendi che hanno interessato l’arcipelago indonesiano nel 2015 sono stati 180’133, mentre nel 2017 ne sono stati contati 18’020: una riduzione del 90% che dimostra come il fenomeno non rappresenti una costante e che, anzi, sia in fase di riduzione grazie alle misure adottate per contrastare il ricorso alla pratica dello “slash and burn” e prevenire gli incendi accidentali.

Sempre analizzando i dati GFW si evince che tra il 1 gennaio 2016 e il 1 gennaio 2018, solo il 7% degli oltre 300’000 incendi verificatisi in Indonesia (4’152) ha interessato le concessioni territoriali delle palme da olio.

Un recente studio ha inoltre dimostrato che le piantagioni di palme da olio certificate e sostenibili hanno un impatto positivo su fauna e ambiente. Infatti, lo studio dimostra che le piantagioni certificate perdono 25 volte meno foresta di quelle non sostenibili. Non a caso, i dati GFW indicano che negli ultimi due anni solo 68 incendi si sono verificati in piantagioni di palme da olio certificate.

Alcuni importanti produttori e NGO hanno recentemente lanciato un’importante iniziativa, la PONGO Alliance, finalizzata a proteggere e favorire la convivenza dei circa 10’000 oranghi censiti nel Borneo indonesiano con le piantagioni di palme da olio.

Fire Alert Count – 1 Jan 2012 – Present
Fire Alert Count – 1 Jan 2012 – Present Immagini tratte dal sito: fires.globalforestwatch.org

 

Fire alerts by LAND USE AREA - 1 Jan 2012 – Present
Fire alerts by LAND USE AREA – 1 Jan 2012 – Present Immagini tratte dal sito: fires.globalforestwatch.org
II – La deforestazione
Il basso costo dell’olio di palma e la sua ampia richiesta hanno portato alla distruzione delle foreste torbiere nell’Indonesia, pari ad una superficie che eguaglierebbe quella di Italia, Svizzera ed Austria, messe insieme?

FACT CHECKING: I dati sull’incidenza delle piantagioni di palme da olio sulla deforestazione nel Sud-Est asiatico sono davvero così devastanti? Sulla base del Global Forest Resource Assessment 2015 pubblicato dalla FAO, è stato stimato che appena l’11% degli incendi boschivi nel 2015 in Indonesia è avvenuto sulle concessioni territoriali per la coltivazione dell’olio di palma. Inoltre, il contributo dell’olio di palma nella deforestazione tropicale globale si attesta intorno al 5%, mentre le principali cause della perdita annuale di foreste sono: gli allevamenti intensivi, le coltivazioni di soia e la produzione di legname.

I dati citati dalla trasmissione considerano la deforestazione complessiva in un’area molto vasta come il Sud-Est Asiatico dove numerosi fattori contribuiscono al verificarsi di questo fenomeno. Esistono da anni le certificazioni di sostenibilità per la filiera dell’olio di palma che hanno ottenuto ottimi risultati nel ridurre l’impatto ambientale delle piantagioni di olio di palma grazie ad una stretta collaborazione con aziende, ONG (fra cui Greenpeace e WWF) e governi locali.

Secondo il “Progress on the New York Declaration on Forests: Goal 2 Assessment Report”, le aziende che producono ed esportano olio di palma sono quelle che hanno implementato il maggior numero di attività per la tutela delle foreste e la sostenibilità ambientale.

III – I consumatori e le campagne anti-palma
Sono stati i consumatori ad invertire la rotta spingendo molte aziende a sostituire l’olio di palma con grassi più sostenibili?

FACT CHECKING 1: Non sono stati i consumatori a boicottare l’olio di palma.  In realtà ci sono interessi commerciali ben precisi dietro le campagne anti-palma, guidate dalle lobby dei produttori degli altri grassi vegetali (girasole, colza, soia) e animali (burro, strutto). Non a caso Coldiretti, l’associazione degli agricoltori italiani, si è subito schierata contro l’olio di palma cercando anche di cavalcare mediaticamente la crociata discriminatoria. Altro che consumatori!

Non è la prima volta che l’olio di palma cade vittima di una guerra commerciale supportata da campagne denigratorie. Negli Stati Uniti, nel 1986, l’American Soybean Association (ASA), temendo un’espansione del consumo di olio di palma, promosse un’azione di lobbying presso la Food and Drug Administration (FDA) con l’obiettivo di ottenere il via libera all’etichettatura “no palm oil” sostenendo che fosse pericoloso per la salute. Solo nel 1994, con il Nutrition Labeling and Education Act, a seguito della comprovata assenza di legami causali tra consumo di olio di palma e malattie cardiovascolari, fu proibito di utilizzare l’etichetta “no palm oil” nelle confezioni di prodotti alimentari.

Inoltre, non è vero che gli altri grassi vegetali e animali sono più sostenibili. Le coltivazioni di soia, girasole e colza hanno rese per ettaro di gran lunga inferiori a quelle di olio di palma e dunque richiedono molto più terreno per essere coltivati (fonte: Oil World 2016) e necessitano di molta più energia, acqua e fertilizzanti chimici (fonte Oil World 2016, The Guardian). Per quanto riguarda il burro, gli allevamenti intensivi sono molto meno sostenibili di qualsiasi coltivazione e contribuiscono all’emissione di gas serra molto più dell’olio di palma (dati WWF 2016, FAO 2015).

Se togliessimo le palme ricrescerebbe la foresta? O verrebbero piantate altre coltivazioni meno sostenibili e per le quali sarebbe necessario più spazio?

IV – La cortina di fumo
La cortina di fumo che raggiunge la Malesia all’inizio della stagione estiva conferma che l’Indonesia sia diventato uno dei maggiori produttori di gas serra dopo gli Stati Uniti e la Cina?

FACT CHECKING: Il servizio si riferisce alla cortina di fumo, in inglese “haze”, che raggiunse la Malesia nel 2015, anno in cui si è verificato un alto numero di incendi di grandi dimensioni, anche a causa condizioni climatiche particolari: vento, caldo secco e innalzamento delle temperature dovuto a El Niño, che hanno alimentato gli incendi. Non si tratta di fenomeni ricorrenti, almeno non nelle proporzioni e frequenze che il servizio lascia intendere agli spettatori, proponendo immagini di repertorio tratte da un vecchio servizio di Report.

Anche il dato che pone l’Indonesia come terzo paese al mondo per emissione di gas serra fa riferimento ad una rilevazione datata 2015, come riportato dal sito Bloomberg. Attualmente il ranking è ben diverso. Come mostrano il grafico e la tabella seguenti, l’Indonesia nel 2016 è addirittura all’11° posto (e l’Italia è al 18°).

Come si può agevolmente constatare, consultando il sito Global Forest Watch Fires, negli ultimi due anni il numero degli incendi si è ridotto di circa il 90%: la tecnica dello “slash and burn” è vietata e perseguita dalle autorità con pene severe.

Può succedere in un territorio vasto come l’Indonesia che alcuni coltivatori diano fuoco alla foresta? Certo, come succede in Italia e nel resto del mondo ogni estate. Secondo il Global Forest Watch Fires, osservando il periodo tra il 1 gennaio 2016 e il 1 gennaio 2018, in Italia si sono verificati 113’295 incendi, mentre in Indonesia, nel medesimo lasso di tempo, gli incendi boschivi sono stati 332’470. Considerando che l’Indonesia è 6 volte più grande dell’Italia, possiamo affermare con tutta onestà che il nostro Paese brucia di più dell’arcipelago asiatico.

Perché non ci scandalizziamo quando succede da noi e invece puntiamo il dito contro gli altri?

La narrativa e la semiotica del servizio trasmesso dal programma “Indovina chi viene a cena”, mirano a demonizzare l’olio di palma.

Perché non raccontare quello che il Governo, le aziende, e i coltivatori stanno facendo per rendere le coltivazioni più sostenibili e proteggere l’ecosistema?

Campagne Liberali è un'associazione di cittadini che difende la libertà di scelta e promuove il metodo scientifico.

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