Einaudi, la sua lezione è più viva che mai

Mercoledì 19 giugno è stato inaugurato il busto di Luigi Einaudi alla Camera dei Deputati. Erano presenti anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente della Camera Roberto Fico. L’opera è stata realizzata dallo scultore Ciro Vignes, grazie a una raccolta fondi promossa dal “Centro studi Gaetano Salvemini” di Napoli, dai “Piemontesi a Roma” e dall’associazione “Scuola di Liberalismo”.

Gianmarco Pondrano Altavilla ha voluto sottolineare, nel suo discorso, l’importanza dell’uomo politico e dell’intellettuale, saldo nelle proprie convinzioni morali ma straordinariamente aperto al confronto sul terreno delle idee. È una chiave di lettura interessante, perché nella politica di oggi sembra prevalere l’inverso: il cinismo e il camaleontismo sul piano dei comportamenti concreti e l’ottuso settarismo sul piano delle idee, aggravato dal fatto che non si tratta nemmeno di idee ma della loro mera rappresentazione retorica. E così l’Italia di oggi è fatta di scontri all’arma bianca, per fortuna senza armi vere, e di guerre di religione in assenza di religione.

I tanti volti di Einaudi

Naturalmente, è sempre difficile attualizzare l’insegnamento di personalità vissute in tempi molto lontani. Ma è opportuno riflettere sulla figura di Einaudi, soprattutto in un periodo così confuso e desolante della nostra vita nazionale. Economista, giornalista, governatore della Banca d’Italia, ministro e infine presidente della Repubblica, Einaudi fu un uomo intelligente ed eclettico, grande lettore e prolifico scrittore, capace di divulgare abilmente i concetti della scienza economica legandoli all’esperienza concreta e al senso comune. Fu un intellettuale, ma non si tirò indietro di fronte alle responsabilità politiche. Ma fu più un uomo delle istituzioni che dei partiti, e da capo dello Stato onorò le prime respingendo spesso le pretese dei secondi.

Non aveva l’indole del politico, e forse fu proprio per questo che riuscì ad esserlo davvero. Schivo e riservato, non era uomo da tribuna e da comizio. Eppure, fu uno dei pochi statisti dell’Italia unita. Fu uno dei protagonisti della ricostruzione, e contribuì a guidare il paese in un momento grave e difficile: un periodo di forte contrapposizione ideologica e di aspro conflitto sociale, ma anche di speranza e ottimismo. L’Italia, che portava ancora le ferite della guerra, era animata da una generale voglia di riscatto, e fu guidata da una classe politica che diede ampia prova di maturità e responsabilità.

Prediche inutili

Non venne ascoltato, o venne ascoltato poco. Le sue prediche inutili furono inutili perché vane, ma sarebbero state utilissime se fossero state messe in pratica; e lo sarebbero anche adesso. Come ha sottolineato molto opportunamente Pondrano Altavilla, la formazione di Einaudi era lontana da alcuni persistenti difetti della cultura italiana: la faciloneria, la retorica, l’approssimazione, la scarsa attenzione al rigore metodologico e all’evidenza empirica. Fu un liberale e si batté per la libertà economica, vedendo in essa un fattore di progresso ma anche di moralità. Riteneva che questa libertà andasse esercitata entro un quadro di regole, e che fosse alla base di una società sana. Difendeva la libertà concreta del cittadino, e ne esaltava il significato profondo, che non si limitava a questioni di efficienza del sistema né di avidità individuale ma che si legava anche alla soddisfazione per il lavoro ben fatto.

È quanto mai giusto dedicare monumenti a Einaudi, ma senza fare di Einaudi un monumento. E questo perché la sua lezione è più viva che mai, e non è una lezione consolatoria e buona per tutte le stagioni. Le sue pagine migliori sono ancora di grande attualità, e in molti dovrebbero rileggerle, sempre che le abbiano mai lette una prima volta.

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