Fincantieri, TIM: Mercato aperto e conformismo di mercato

La diatriba franco-italiana sulla proprietà dei cantieri bretoni di Saint Lazaire e della Tim resterà molto dibattuta per le accuse di violazione delle norme sul mercato comune. In realtá né la Francia né l’Italia stanno infrangendo norme europee o nazionali, scritte o legate alla prassi comune. Anzi, è legittimo che ogni istituzione cerchi di salvaguardare il proprio interesse.

La diatriba franco-italiana sulla proprietà dei cantieri bretoni di Saint Lazaire (acquistati a primavera da Fincantieri, nazionalizzati da Macron come detto nei comizi) e della Tim, principale gruppo di comunicazione e informazione (Vivendi non ne ha comunicato il controllo violando le norme sulla golden share che avrebbero consentito il veto italiano), resterà molto dibattuta almeno per un altro mese. Qui mi limito a confutare una argomentazione assai usata nel dibattito. Quella che i due contendenti violerebbero il progetto di costruzione del mercato unico europeo. E che un simile braccio di ferro rivelerebbe i limiti costituzionali dell’UE, che vuole abbattere le barriere tra gli Stati membri, ma non dispone degli strumenti.

Questo argomento è un fraintendimento grave della natura UE. Il trattato istitutivo (Roma, ’57) assegna alla CEE “il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano”. Eliminando i dazi, tracciando politiche comuni in agricoltura e nei trasporti, varando la banca degli investimenti. Il Trattato CEE, seguito al fallimento  CECA (un tentativo di accordo su tutto), ha l’impronta del Ministro degli Esteri Gaetano Martino, che fece passare un progetto di cultura liberale, la costruzione a passo a passo di un nuovo tipo di istituzione fondata sull’esser diversi. E’ ad oggi, in ambito istituzionale, la strategia di libertà civile di maggior peso degli ultimi secoli. Perché non è una struttura deterministica definita e tendente alla perfezione sovrapponendosi al cittadino. Fu un fattore evolutivo così robusto che in 35 anni raddoppiò i membri da 6 a 12, divenne un rispettato attore a livello mondiale e decise di ampliare  il suo trattato costitutivo e di chiamarsi UE (Maastricht, 1992). L’ampliamento fu assai più frettoloso (e un po’ meno liberale) del Trattato base e la ridefinizione dei compiti più disattenta sia al metodo a passo a passo che alla diversità.  Così, i mutamenti apportati ­– si può affermarlo dopo 25 anni di pratica – hanno indotto anche strategie incerte, che hanno sottovalutato le conseguenze di parecchie scelte (i successivi allargamenti degli aderenti, il proliferare di procedure, l’insufficiente maturazione civile degli obiettivi, sia assunti che trascurati). Col risultato di creare l’odierno distacco dei cittadini dall’Europa.

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In ogni caso, la costruzione UE non ha mai puntato a far nascere un’alleanza di Stati prestabilita bensì a rendere più liberi i comportamenti dei suoi cittadini e dei suoi operatori economici col metodo dell’apertura tra gli Stati. Il senso profondo UE, all’opposto dell’Assemblea di Stati ONU, non è mai stato un’istituzione che dia un aspetto nuovo al tradizionale esercizio del potere. Né sotto l’aspetto del livello (prima nazionale e poi sovranazionale) né sotto quello della fonte (prima il detentore, sovrano o partito, poi  gli interessi economici dominanti). Il senso profondo è attivare in Europa meccanismi nuovi pensati per limitare l’esercizio dei poteri tradizionali al fine di ridurre le tentazioni di supremazia degli Stati e migliorare la convivenza tra diversi al fine di liberare energie. E’ agire perché, scegliendo regole adeguate di continuo, nell’UE i cittadini si esprimano con la massima libertà e gli operatori economici prendano le loro iniziative col solo vincolo di rispettare le regole esistenti al momento.

Non va frainteso il senso di mercato unico europeo, confondendolo con propensione a posizioni univoche, che evocano le regole e sono le prime a non rispettarle. Sui cantieri bretoni e sulla TIM, né la Francia né l’Italia violano norme europee o nazionali, scritte o usate, e per di più è legittimo – di certo nell’ottica liberale – che ogni istituzione adoperi gli strumenti ritenuti opportuni per salvaguardare i propri interessi (nel nostro caso, la Francia dice di voler evitare che la proprietà italiana del cantiere favorisca l’esodo della tecnologia francese in Cina). Dopo verrà il giudizio dei fatti e del mercato (ove c’è). Insomma, abbattere le barriere tra gli Stati membri serve a creare un ambiente di più libero confronto dei diversi interessi ed iniziative, non ad annullare la loro esistenza nel conformismo.

Il supporre esistente un interesse UE al conformismo di programma e all’indistinzione dei soggetti economici piuttosto che al loro democratico conflitto per scegliere soppesando, contrasta con le ragioni ed i metodi per cui l’Europa è nata e su cui fin qui si è sviluppata, con alti e bassi. In chiave liberale, l’area di libero scambio non può mai essere un’area di monopolio. Semmai, supporre un interesse europeo prestabilito corrisponde a quella vecchia concezione del potere  interessato a godere privilegi, soffocando chi disturba. Oltretutto, sarebbe assurdo invocare presunte regole europee per imporre cosa va fatto in economia quando proprio l’ampliamento di Maastricht ha reso evidente la contraddizione di non prevedere regole europee decise più direttamente dai cittadini riducendo l’intermediazione degli Stati.

Il mercato unico europeo non può essere una sorta di dirigismo indiretto né assumerne i  caratteri centralistici. Norme valide per tutti gli Stati membri (come quelle sul credito) non servono ad irrigidire i comportamenti nel conformismo, ma al contrario a favorire un confronto chiaro e valutabile tra le diversità degli Stati e dei rispettivi cittadini. Sono scelte di libertà da rinnovare per mantenerle vitali. Specie oggi, quando l’UE perde un membro. E quando, soprattutto in materia di immigrazione, si profila un fantasma dirigista, il terzomondismo. Come cura dei problemi nelle relazioni umane globali, esso vorrebbe utilizzare il criterio del definire in partenza il dover essere del mondo pretendendo l’attuazione dei principi  di umanità, solidarietà e diritti prima ancora di stabilire come costruirli, anche a livello istituzionale europeo, scegliendo tra proposte diversificate da sperimentare. Il che equivale  all’emozionarsi buonista rifiutando il realistico osservare lo svolgersi delle relazioni centrate sull’individuo cittadino (il sistema a passo a passo). Non a caso, il compagno  di tale pretesa è sempre, con la scusa dell’economia, lo sminuire la politica, che massimizza la capacità di scelta dei cittadini nel segno della loro libertà e del loro benessere. Tale dirigismo è l’opposto dello spirito europeo.

Raffaello Morelli

Raffaello Morelli, politico e autore liberale fin dall'epoca del PLI (e tutt'ora). E' stato dirigente nazionale di diverse associazioni liberali, ha svolto anche i ruoli di Consigliere Comunale a Livorno, Consigliere Regionale a Firenze e vice presidente della SACIS spa, redigendo migliaia di interventi e scritti politico culturali.

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