Scienza senza metodo: quei bias contro l’olio di palma di Cazzolla Gatti

Cazzolla Gatti

Con il metodo scientifico si affrontano i problemi della vita in modo sperimentale per trovare soluzioni sempre migliori. In alcuni casi, come quello della ricerca di Roberto Cazzolla Gatti contro l’olio di palma, il bias prende il posto del metodo. Con risultati pessimi.

LO STUDIO DI CAZZOLLA GATTI

Secondo uno studio di Roberto Cazzolla Gatti, professore associato presso la Tomsk State University in Russia e della biologa russa Alena Velichevskaya, esisterebbero prove inequivocabili che la certificazione dell’olio di palma non garantisce la «sostenibilità ambientale». Peccato che lo studio sia tutto fuorché scientifico, poiché ignora il metodo sperimentale e quindi i fatti della realtà.

Una delle conclusioni è che le certificazioni che lo identificano come sostenibile in realtà siano inutili perché non tengono conto della deforestazione pregressa. Questa linea di pensiero è antilogica. Tutte le piantagioni, dall’olio di oliva italiano ed europeo all’olio di girasole (e tanti altri), sono il portato di deforestazioni secolari. A ben vedere, l’Europa ne è un chiaro esempio. Sarebbe come dire che RSPO (fondata nel 2004) sia responsabile della deforestazione avvenuta negli anni ’80

GLI STANDARD DI SOSTENIBILITA’

Lo stesso vale per i dubbi posti in merito alla capacità di RSPO di fermare la deforestazione. L’olio di palma è tra i grassi vegetali essenziali per la dieta sostenibile del futuro. Nel 2050 saranno 10 miliardi le persone che dovranno condividere il pianeta. Tutti, nessuno escluso, avranno bisogno e diritto di nutrirsi. Date le sue caratteristiche uniche di resa per ettaro, l’olio di palma è tra le migliori soluzioni possibili per garantire una maggiore sicurezza alimentare. Boicottarlo, non è la soluzione. Rafforzare i meccanismi di controllo e di tutela, come RSPO, è la strada per un futuro sostenibile per tutti, come riconoscono la maggior parte delle organizzazioni ambientaliste a livello internazionale, come il WWF e Greenpeace, ma non solo. Sono decine le ONG che considerano gli standard RSPO la migliore risposta attuale (anche se perfettibile) ai problemi di sostenibilità della filiera.

Mistificare la realtà, attraverso l’illusione che le risposte semplici a problemi complessi esistano, è pericoloso e inutile. La scienza deve affrontare i problemi di oggi per trovare nuove soluzioni per il domani. Altrimenti, essa non è solo una perdita di energie ma anche una rischiosa distrazione.

UN ERRORE CHE VALE PIU’ DEL PIANETA TERRA

Volendo analizzare meglio lo studio, probabilmente ne scopriremo delle belle, ma per dare un’idea di quanto le informazioni siano parziali e pericolosamente fuorvianti, basta solo questo esempio:

Gatti afferma che le concessioni di Olio di Palma nel Sud-Est asiatico insistano su un totale di 18 miliardi di ettari. Peccato che la superficie terrestre sia di appena 12-15 miliardi di ettari. Secondo Cazzolla Gatti, quindi, l’intera superficie della Terra e non solo sarebbe coperta da piantagioni di Olio di Palma.

Viene da chiedersi chi abbia revisionato questo articolo e se anch’esso non sia viziato da convinzioni ideologiche. Della serie: pur di sparare contro l’olio di palma approvo l’articolo a occhi chiusi. Peccato che l’errore sia grande più della superficie terreste.

Ma del resto dal co-ideatore e contributore del sito “Olio di Palma Insostenibile” (parodia del sito dell’unione italiana per l’Olio di Palma Sostenibile) lanciato nel 2016 dall’allora On. Mirko Busto (M5S), ora rimosso dal web, non ci si può certo aspettare molto altro.

IL BILANCIAMENTO NECESSARIO

Lo sviluppo sociale ed economico globale ha portato necessariamente alla ricerca di un equilibrio tra Uomo e Natura. La stessa Europa o gli Stati Uniti negli anni hanno deforestato intensamente le proprie aree boschive. Questo, in favore della creazione di nuovi spazi urbani, colture e allevamenti.

Quello che accade nei paesi produttori di olio di palma si può riassumere nella stessa tensione verso uno sviluppo economico e sociale. Questo, però, non deve avvenire per forza in modo negativo per l’ambiente. L’Indonesia è un esempio interessante. Dal 2016 al 2019 ha ridotto il proprio processo di deforestazione di più del 60%. Attraverso correzioni e tutele normative, il paese vuole approcciare in modo diverso la crescita, mirando ad una sua connotazione sostenibile.

La riforestazione sembra essere uno dei principali metodi per raggiungere l’equilibrio. Un processo che però deve essere considerato nella sua connotazione più globale e che quindi deve essere seguito da tutti i paesi. Anche in questo caso l’Indonesia ha un buon equilibrio.  Infatti, ha una grande quantità di foreste conservate (50-45% c.a. del totale delle terre disponibili) e una minore quantità di terre coltivate (31% del totale delle terre disponibili). Stessa cosa vale per l’altro grande produttore di olio di palma, la Malesia. Essa infatti è ricoperta per il 62% di foreste e dal 26% di terreni coltivati a differenza di altri Paesi come ad esempio la Germania, che ha una maggiore quantità di terre coltivate (50-45% c.a.) e una minore quantità di foreste (33% c.a.).

Questi dati non sono presenti nello studio di Cazzolla Gatti, eppure andrebbero considerati. Specialmente quando si parla di deforestazione e olio di palma. Perché non ne fa menzione?

Campagne Liberali è un'associazione di cittadini che difende la libertà di scelta e promuove il metodo scientifico.

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