Il populismo è la conseguenza del Malgoverno

Il dibattito su Il Sole 24 Ore in tema di populismo e movimenti contro, avviato dal Prof. Sergio Fabbrini, ha il merito di riscoprire il metodo del ragionare politico. Eppure non affronta il fulcro di una terapia: come restituire al cittadino la centralità quale soggetto e oggetto di governo.

Non lo affronta per un motivo. Riconosce che il populismo è indefinito, ma argomenta come se il successo elettorale derivasse dal progetto populista, trascurando l’assunto populismo-movimento contro. Il che consente di sorvolare su cosa ha spinto il movimento contro. E di non ammettere che le logiche profonde istituzionali della democrazia liberale non sono il semplice rispetto delle norme ma la verifica continua del loro funzionamento da parte dei cittadini al fine di garantire la migliore libertà dei conviventi.  Devono esserci ma anche funzionare.

Non sorvolando sul cattivo funzionamento che ha spinto il contro, il risultato elettorale esprime il rigetto del fallimento dei governi recenti e del loro sistema di potere disattenti ai cittadini. Il 4 marzo ne hanno beneficiato partiti illiberali ma è stato un successo della democrazia liberale che vive del cambiamento. I cittadini possono sbagliarsi, ma l’esperienza dimostra che si correggono meglio e più alla svelta delle élite, per natura più distanti dall’effettiva libertà dei cittadini.

Il dibattito equivoca anche sul pluralismo istituzionale. E’ confronto non tra aree di spazi riservati bensì tra ruoli specifici. Perciò è fisiologico – e non populista – rilevare se il Presidente della Repubblica, di solito inappuntabile, compie un errore (non competeva a lui ma al Parlamento non accettare un Ministro perché potrebbe provocare l’uscita dall’euro). Perciò è fisiologico – e non populista – richiamare al suo ruolo il Presidente INPS se snocciola dati sganciati dalla effettiva condizione reale e, sentendosi organo di governo, parla direttamente ai cittadini.

Un altro equivoco del dibattito è sulla contrarietà del governo Conte alla democrazia rappresentativa. Il solo atto del governo è l’aggiunta delle due parole “democrazia diretta” nel nome di un ministero. L’ambiguità c’è ma in sé il rivedere il sistema dei referendum può irrobustire la democrazia rappresentativa collegandola di più ai cittadini. Contrari alla democrazia rappresentativa sono i massimi livelli M5S, i quali ipotizzano di sostituire il voto con un’estrazione o con degli algoritmi (un’utopia da oligarchi). Attenzione però. Rende possibile attribuire la volontà utopica al governo solo il fatto che il dibattito argomenta come se il governo Conte fosse figlio delle proposte M5S. Ma non è così. Il governo Conte è figlio del rigetto dei governi precedenti e del Contratto M5S Lega.

Insomma, oltre al merito il dibattito ha il difetto di non scegliere la centralità del cittadino per svuotare il populismo. Non percepisce che i passati governi hanno perso ogni credibilità nella gestione pubblica. E che attaccare il governo Conte pregiudizialmente, equivale ad una difesa di quei governi che rende incredibili i difensori (il duo restauratore, PD e FI). E’ assurdo farlo supponendo l’infrastruttura liberale una teoria disgiunta dai fatti che ne conseguono. E senza che l’obiettivo e il motore ne sia il cittadino. I liberali sono scettici sugli anatemi e sulle profezie separate dai comportamenti. Puntano su proposte tese a mettere i cittadini in condizioni migliori di agire, attenendosi ai risultati. Questo è il metro per  valutare il governo Conte.

Nel frattempo urge non una generica politica riformista slavata, ma un progetto di riforme liberali imperniate sullo spirito critico del cittadino. E’ errato richiamare concetti importanti e poi coniugarli fuori del liberalismo. Se si fa, si snatura la competenza: da maturazione che arricchisce il singolo per consentirgli di rispettare fatti e progetti, diviene un viatico per un’oligarchia irrispettosa del cittadino. Oppure si trasforma l’istruzione da strumento per approfondire il rapporto con il mondo in modalità di dominio egoistico. Oppure si confonde la divisione dei poteri pubblici con l’affidare l’ultima parola politica non  ai cittadini ma alle procedure giudiziarie (gli orfani del vecchio potere farebbero decidere il dopo crollo di Genova ai processi e non al Governo e al Parlamento). Con riforme pensate per il cittadino si riavrà la mentalità liberale, indispensabile per risollevare lo Stato.

E’ un fatto che i liberali non sono riusciti a bloccare il malgoverno degli anni 2000 che esibiva doti liberali inesistenti.  Ed è un  fatto che vi sono riusciti i populisti solo contestando. Ora la condizione in cui è stato lasciato il paese esige concretezza progettuale.  Vedremo. Intanto i liberali lavorino ad una ripresa della mentalità liberale che sia credibile e coerente, dato che, parole del dibattito, si può essere conservatori o liberali, ma non entrambe le cose.

Campagne Liberali è un'associazione di cittadini che difende la libertà di scelta e promuove il metodo scientifico.

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