Unità e diversità

Scritto per la rubrica Disputationes della rivista NON CREDO n.58 

Nel linguaggio corrente si usano due parole, unità e diversità, per enunciare due concetti distinti: il primo è (salvo che in matematica) accordo, concordia, conformità e il secondo dissomiglianza, distinzione, disuguaglianza. Quando però le due parole si riferiscono estensivamente ai grandi principi di convivenza, ogni concetto non corrisponde più a quello che si intende dire con la parola corrispondente. Anzi.

Una discrasia terminologica

Secondo la vulgata (ed anche i continui richiami delle autorità spirituali) la religione servirebbe ad unire i conviventi mentre la laicità servirebbe a dividerli. Tuttavia l’esperienza storica mostra il contrario. La religione, che predica l’unità, provoca una divisione molto forte tra i conviventi ed anche specifiche guerre (che tra le confessioni cristiane non ci sono più dalla metà ‘600 – da quando arrivò l’Habeas Corpus e l’empirismo inglese iniziando il metodo civile liberale – ma che sono tutt’oggi in corso tra i seguaci di vari credi, vedi salafiti e sunniti nell’Islam oppure gli scontri in Africa tra cristiani e musulmani) mentre la laicità, che parte dalla diversità individuale ed esalta l’uso dello spirito critico di ciascuno, dunque è l’opposto dell’unità e del conformismo, si è mostrata nei tempo il criterio migliore per costruire davvero istituzioni democratiche aperte a tutti i cittadini (le democrazie non si fanno la guerra) e per affrontare e per risolvere in qualche misura, rispettando gli altri, divisioni e dissensi, talvolta fortissimi, che nella vita reale sono ineliminabili.

Questa discrasia terminologica non deve stupire. Infatti basta riflettere un po’ e il perché diviene chiaro. Fino a pochi secoli or sono, conoscere significava essenzialmente individuare un modello fisso, in genere divulgato nella tradizione, che spiegasse il mondo riproducendo il più possibile l’idea divina sui ruoli attribuiti alle cose, agli animali e agli umani. Quel modello era l’unità di chi abitava lo stesso territorio e costituiva il massimo riconoscersi nella verità rivelata quale destino universale. Dunque lo stare uniti era la più alta forma di bene comune nel rispetto della creazione divina. All’epoca, chiunque non accettasse una simile impostazione veniva tenuto ai margini della vita insieme ed era giudicato, nel migliore dei casi, un essere diverso estraneo all’ordine voluto da Dio e nel peggiore un pericoloso nemico da eliminare. Insomma la diversità era considerata divisiva in quanto fattore corrosivo di quell’ unità dei conviventi che dava loro la forza di far fronte alle difficoltà. In sintesi, l’unità era la virtù , la diversità il vizio.

L’eccezione della matematica

Il caso della matematica era un’eccezione. Qui, il contare è l’architrave e il meccanismo si regge sul numero uno, da cui si derivano i numeri successivi aggiungendo ogni volta un altro uno. Quindi l’unità è riferita solo all’essere il numero uno l’unità di misura del sistema. E la diversità è riferita al confronto tra i vari numeri. In altre parole, in matematica unità e diversità hanno un significato non coincidente con quello allora corrente. Un’eccezione che era un indizio.

Comunque sia, nel XV secolo cominciò a crescere l’attenzione sul fatto che la forza del pensare di ogni individuo non aveva minor peso della forza fisica, in prospettiva ne aveva di più. Ciò iniziò a spostare il modo di concepire le cose, per poi svilupparsi parecchio nei secoli successivi. E a poco a poco, alla prova dei fatti, si è arrivati a capire che la capacità di conoscere – la quale costituisce il reale motore per far crescere la qualità della vita, vale a dire la vera forza – dipende non dall’unità e dal conformismo di quanto si crede e dei modelli fissi derivantine, bensì dalla diversità di tutti i cittadini individui e dall’esercizio sperimentale del loro rispettivo spirito critico verificato alla luce dei risultati via via conseguenti.

Alla prova dei fatti

Esser giunti a rendersi conto dell’effettivo funzionamento dei meccanismi del mondo, ha ribaltato il rapporto tra i due termini unità e diversità. E’ la diversità la virtù, non l’unità. Perché la diversità coglie la realtà delle cose e l’accettarla fa adottare il metodo del discutere costruttivamente per individuare tra i diversi punti di vista i punti d’accordo, pur limitati e provvisori, che alla fine con pazienza si raggiungono; mentre l’unità parte dal principio del dover essere tutti del medesimo avviso secondo lo stesso modello di vita persistente e misura ogni cosa in base a questo principio, cancellando le opinioni dissenzienti e ritardando la comprensione della realtà.

E’ quello che accade alla prova dei fatti. La convivenza democratica si irrobustisce a passo a passo seguendo il sistema delle regole laiche volte, mediante la scelta dei cittadini, a migliorare di continuo le relazioni d’ogni tipo tra i diversi conviventi; la religione – e l’ideologia funziona analogamente – agisce predicando una propria verità cui aderire e da rispettare ed afferma che, vista l’origine divina (o ideologica) di tale verità, rifiutarla è una violazione inaccettabile delle eterne regole universali che hanno carattere divino (o ideologico). E in più la religione (e l’ideologia) esalta il partecipare alle assemblee ma esclude che chi vi partecipa possa fare scelte, riservate ai vertici sovrastanti. Questo è il segno distintivo dei movimenti religiosi, anche non inclini al credo fondamentalista. Non a caso, pure nell’esortazione religiosa sulla chiamata alla santità universale emanata nel marzo 2018 da Francesco – nonostante passi per un Papa aperto – si sottolinea che il rischio della cultura di oggi è l’individualismo che fa a meno di Dio.

Perché la diversità è la virtù

Il punto dirimente sta qui, sul come approcciarsi al mondo. I laici si affidano alla diversità e dunque ai cittadini per osservare, per valutare e per operare in relazione alla realtà che li circonda; lo fanno dando piena libertà di credo ad ognuno ma tenendo fermo che ciò non tocca le regole pubbliche della convivenza quotidiana. Viceversa le religioni, particolarmente quella cattolica (ma pure le ideologie), assumono la rivelazione (o le decisioni del partito) come struttura imprescindibile per la conoscenza umana e dunque per le cose del mondo si affida a Dio (o al partito) e non al cittadino e ai fatti, non tenendo neppure conto del tempo che procede inarrestabile; ne consegue che la religione è divisiva per quanto attiene lo svolgimento della gestione del convivere, di cui tra l’altro non accetta veramente i presupposti umani (ad esempio non si scordi mai che il Vaticano non ha sottoscritto ad oggi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, appunto perché lì questi diritti non discendono dal Dio cattolico).

All’Angelus del 21 ottobre, Francesco ha esortato la Chiesa (letteralmente) a convertire i suoi discepoli dalla mentalità del mondo a quella di Dio. In tale atteggiamento distante dalla concretezza dei fatti e dai cittadini, si radica il sostanziale ruolo divisivo della religione cattolica nella convivenza civile, perfino al di là del voluto. L’evolversi della storia è contraddistinto dallo svilupparsi della presa di coscienza degli umani circa le regole per poter vivere in modo produttivo la reciproca diversità individuale. Invece la Chiesa si applica costantemente ad ostacolare tale presa di coscienza, riservandosi poi con secoli di ritardo (500 anni con Galileo, 140 anni con Porta Pia, vedremo in materia di procreazione) di ammettere la validità della nuova conoscenza prodotta dalle scelte compiute a suo tempo dai ricercatori e dai governanti. Mai peraltro la Chiesa ha finora ammesso il suo essere divisiva in tema di convivenza civile. Ed è per questa stessa ragione che prosegue a predicare il valore dell’unità rispetto alla diversità. Concetto legittimo in sede religiosa, ma da rifuggire in campo civile.

Campagne Liberali è un'associazione di cittadini che difende la libertà di scelta e promuove il metodo scientifico.

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