
Da Kuala Lumpur. L’olio di palma va guardato dall’alto. Dal cielo di Kuala Lumpur. Solo sorvolando le centinaia di migliaia di ettari di terra dedicati alla sua coltivazione si capisce che la Malesia è il fortino della produzione mondiale di questo alimento così controverso. Il secondo produttore al mondo dopo la vicina Indonesia: distese immense, campi regolari e simmetrici, belli come sono belle le colline del centro Italia inondate di olivi e di viti. Solo immensamente più grandi e produttivi: dalla Malesia parte il 39% dell’olio verso le industrie mondiali che producono cibo, dentifrici, detergenti, cosmetici e prodotti farmaceutici. Ed è su questo fortino in Asia orientale che si combatte l’assedio più cruento di tutti: quello del boicottaggio.
Da qualche anno infatti l’olio di palma è finito sul banco degli imputati con l’accusa infamante di essere il più dannoso tra gli ingredienti alimentari che arrivano sulle nostre tavole. Un’insinuazione portata avanti dai produttori di oli concorrenti, Ong in cerca d’identità e partiti politici orfani di battaglie ideologiche da combattere. Accuse («è cancerogeno», «causa il disboscamento del pianeta») che però non corrispondono al vero.
Eppure in Europa si è ormai creato un mito negativo duro da abbattere.
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